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Seasons of Love

Perché scrivi e perché vuoi che la scrittura diventi il tuo lavoro?

Un musical che ebbi modo di guardare anni fa, Rent di J. Larson, racconta la storia di questi squattrinati artisti che affrontano svariate difficoltà per trovare il loro posto nel mondo o, nel loro caso, nella Lower Manhattan che è meta di musicisti, attori ed altri creativi dell’ambiente. Un’idea un po’ bohemian, forse, ma che mi sono sempre perfettamente cucita addosso. C’è una canzone in particolare che fa riflettere sul senso della vita e chiede quasi con fin troppa ingenuità, che in vero suona spiazzante, in che modo si misura il tempo di una vita.

Ve lo siete mai chiesti? Il titolo della canzone – Seasons of Love – è già la risposta, mi direte. Roba scontata, no? Soprattutto per chi un po’ troppo spesso guarda il mondo con occhi un po’ hippie, come la sottoscritta. Beh, io vi dico che non è così scontato. L’amore è una forza, un super potere se vogliamo, che non ha limiti né forma specifica. L’amore è quello per cui si mette al mondo una vita. L’amore è quello per cui si resta al fianco di quella stessa vita finché questa non si sia spenta. L’amore è quello per cui si torna a respirare quando non ci si è nemmeno accorti d’aver smesso. L’amore è quello che spinge chi ha poco a dividere quel poco con chi ha ancora meno. E sempre l’amore è quell’Élan vital per cui si esiste ed infine si vive. Quindi sì, “Seasons of Love” perché l’amore è la misura di tutte le cose. Di tutte.

Sulla scia di questa filosofia, magari anche un po’ fuori moda visti tempi d’odio che corrono, è per questo che ho scelto di scrivere per professione. Chiaro, no? Se l’amore è la misura di tutte le cose, allora anche questa scelta deve avvenire col cuore e per amore. Ed io, per amore, posso solo scrivere. E forse quell’amore mi renderà un’infaticabile typer, una testarda sognatrice, una fiduciosa creativa, una affamata esploratrice. Magari, però, anche una persuasiva paroliera che non usa le parole per ingannare, ma le intreccia per raccontare la misura dell’amore.

Ecco perché.

3 valori per ritrovarmi sempre in ciò che scrivo

 

Avete dei principi cui cercate sempre di tener fede quando scrivete?

Quando si scrive per se stessi il primo passo è focalizzarsi su cosa voler scrivere e farlo individualmente: abbiamo idee, principi, valori e un modo tutto nostro di approcciarci alla vita. L’insieme di queste cose, secondo me, plasma anche l’espressività di ciò che scriviamo rendendolo unico e personale. Quando, però, si sceglie di scrivere per lavoro le cose cambiano: il rapporto con la scrittura muta nella misura in cui a variare è la prospettiva con cui si scrive; non scrivo più per me e per esprimere me stessa, ma scrivo per gli altri. Posso trovarmi a scrivere per un cliente che mi ha chiesto di curare il blog della sua attività finanziaria, per un giornale che mi ha affidato un pezzo sulla green economy ma che è più negazionista di Trump nei riguardi del global warming – cosa che probabilmente non vorrei fare, ma che forse finirei a dover per necessità. Il punto è un altro: quando la scrittura diventa lavoro non si scrive per se stessi ma per gli altri e per conto di altri, quindi è facile alle volte perdersi. Avete un modo per non farlo?

Io sì.

Pensare fuori dagli schemi: mi piace fermarmi a riflettere su ciò che devo scrivere, prima con semplicità e linearità e poi scomporlo per analizzarlo a fondo. Complicarlo anche per assurdo, soffermarmi ad inquadrare il punto di vista opposto o alternativo al mio se c’è. Chiedermi tutto ciò che riesco, dopo essermi documentata a sufficienza. Questo perché non voglio essere scontata e desidero che le mie parole possano essere la lucciola che illumina il cammino della ragione di chi legge. Rompere quegli schemi del pensiero che rendono il ragionamento limitato è la cosa migliore che un testo possa fare.

Sognare di più: è importante osservare, focalizzare l’attenzione sui fatti reali e comprendere. Però, non è tutto. L’immaginazione è quella capacità propria degli esseri umani che consente loro di trascendere il qui ed ora concreto della circostanza presente, lasciandoli liberi di andare oltre. È possibile guardare al passato e confrontarlo col presente per trarne insegnamento, così come è possibile prevedere almeno in parte le conseguenze che il presente può avere sul futuro e dunque agire per cambiare. Questa è una forma di immaginazione utile a capire cosa scrivere e come scriverlo per evitare – come nei foglietti illustrativi dei medicinali, sì – effetti indesiderati.
Poi c’è anche un altro senso, ovvero l’invito a guardare la realtà attraverso un filtro meno disilluso. Se la realtà è nera o grigia, noi che scriviamo possiamo colorarla per coloro che di quei sogni ne hanno bisogno. Sognare, badate bene, non significa pensare a cose impossibili… significa anche guardare in alto e riflettere su come rialzarsi quando si è appena caduti. I sogni servono a questo.

Il valore della scrittura: il più difficile da rispettare quando si scrive per gli altri perché è anche il più personale. Scrivo perché desidero esprimere nonché condividere qualcosa. Un pensiero, un sentimento, una sensazione, un evento, un disagio, un problema, una gioia. Insomma, è valore più intimo perché è connesso agli altri due ma al contempo è anche connesso alla verità delle proprie parole e quindi al valore di ciò che si scrive. Quando si scrive per gli altri, mantenere il valore della propria scrittura è un lusso che non sempre (anzi forse quasi mai) ci possiamo permettere. Ne soffro? Sì. Come mi comporto quando so che viene meno? Cerco dei compromessi tra ciò che devo scrivere e come lo scriverei, provando a restare fedele alla mia impronta. E se non è possibile? Probabilmente non aver tenuto fede a questo “write worth” mi stimolerà a fare di meglio la prossima volta, a riflettere di più o a rimediare scrivendo dell’altro per me stessa… essendo a tutti gli effetti me stessa.

Quindi, sì. Ho dei valori, che sono anche desideri: gli effetti collaterali che vorrei le mie parole avessero. Illuminare, stimolare, esprimere me stessa!