Avete dei principi cui cercate sempre di tener fede quando scrivete?
Quando si scrive per se stessi il primo passo è focalizzarsi su cosa voler scrivere e farlo individualmente: abbiamo idee, principi, valori e un modo tutto nostro di approcciarci alla vita. L’insieme di queste cose, secondo me, plasma anche l’espressività di ciò che scriviamo rendendolo unico e personale. Quando, però, si sceglie di scrivere per lavoro le cose cambiano: il rapporto con la scrittura muta nella misura in cui a variare è la prospettiva con cui si scrive; non scrivo più per me e per esprimere me stessa, ma scrivo per gli altri. Posso trovarmi a scrivere per un cliente che mi ha chiesto di curare il blog della sua attività finanziaria, per un giornale che mi ha affidato un pezzo sulla green economy ma che è più negazionista di Trump nei riguardi del global warming – cosa che probabilmente non vorrei fare, ma che forse finirei a dover per necessità. Il punto è un altro: quando la scrittura diventa lavoro non si scrive per se stessi ma per gli altri e per conto di altri, quindi è facile alle volte perdersi. Avete un modo per non farlo?
Io sì.
Pensare fuori dagli schemi: mi piace fermarmi a riflettere su ciò che devo scrivere, prima con semplicità e linearità e poi scomporlo per analizzarlo a fondo. Complicarlo anche per assurdo, soffermarmi ad inquadrare il punto di vista opposto o alternativo al mio se c’è. Chiedermi tutto ciò che riesco, dopo essermi documentata a sufficienza. Questo perché non voglio essere scontata e desidero che le mie parole possano essere la lucciola che illumina il cammino della ragione di chi legge. Rompere quegli schemi del pensiero che rendono il ragionamento limitato è la cosa migliore che un testo possa fare.
Sognare di più: è importante osservare, focalizzare l’attenzione sui fatti reali e comprendere. Però, non è tutto. L’immaginazione è quella capacità propria degli esseri umani che consente loro di trascendere il qui ed ora concreto della circostanza presente, lasciandoli liberi di andare oltre. È possibile guardare al passato e confrontarlo col presente per trarne insegnamento, così come è possibile prevedere almeno in parte le conseguenze che il presente può avere sul futuro e dunque agire per cambiare. Questa è una forma di immaginazione utile a capire cosa scrivere e come scriverlo per evitare – come nei foglietti illustrativi dei medicinali, sì – effetti indesiderati.
Poi c’è anche un altro senso, ovvero l’invito a guardare la realtà attraverso un filtro meno disilluso. Se la realtà è nera o grigia, noi che scriviamo possiamo colorarla per coloro che di quei sogni ne hanno bisogno. Sognare, badate bene, non significa pensare a cose impossibili… significa anche guardare in alto e riflettere su come rialzarsi quando si è appena caduti. I sogni servono a questo.
Il valore della scrittura: il più difficile da rispettare quando si scrive per gli altri perché è anche il più personale. Scrivo perché desidero esprimere nonché condividere qualcosa. Un pensiero, un sentimento, una sensazione, un evento, un disagio, un problema, una gioia. Insomma, è valore più intimo perché è connesso agli altri due ma al contempo è anche connesso alla verità delle proprie parole e quindi al valore di ciò che si scrive. Quando si scrive per gli altri, mantenere il valore della propria scrittura è un lusso che non sempre (anzi forse quasi mai) ci possiamo permettere. Ne soffro? Sì. Come mi comporto quando so che viene meno? Cerco dei compromessi tra ciò che devo scrivere e come lo scriverei, provando a restare fedele alla mia impronta. E se non è possibile? Probabilmente non aver tenuto fede a questo “write worth” mi stimolerà a fare di meglio la prossima volta, a riflettere di più o a rimediare scrivendo dell’altro per me stessa… essendo a tutti gli effetti me stessa.
Quindi, sì. Ho dei valori, che sono anche desideri: gli effetti collaterali che vorrei le mie parole avessero. Illuminare, stimolare, esprimere me stessa!