L’obesità, è un allarme anche fra i giovani. Ce ne parla Marina Biglia, presidente associazione Amici Obesi Onlus
di Rosannna La Malfa
Sei presidente in carica dell’associazione Amici Obesi Onlus. Parlaci di Te e delle attività delle associazione
La mia storia è strettamente legata a questa associazione, perché la mia cura è passata attraverso la cura degli altri e viceversa. Io, e tanti come me, siamo la prova tangibile dell’efficacia dell’auto mutuo aiuto. Ho toccato il tetto dei 140 kg e, oggi, sono quasi l’esatta metà di me stessa. Ho lasciato alle spalle, anche grazie ad un intervento di chirurgia dell’obesità, 68 chili.
Amici Obesi nasce, nel 2004, come pagina web con annesso forum di discussione ed interazione. E li nasce la mia seconda possibilità di vita: attraverso fiumi di parole che ti investono come un fiume in piena, in un luogo in cui ti senti finalmente libera e capita. Perché sono tutti come te.
Poi da pagina web ci siamo evoluti in associazione e da anni, lottiamo per il diritto alla cura e per diffondere le giuste informazioni sul problema obesità: spezzando il silenzio su questa malattia. E lo facciamo attraverso le pagine social, partecipando a convegni e congressi, ed organizzandoli a nostra volta.
Perché si diventa obesi? Abbiamo delle statistiche italiane?
Le statistiche italiane parlano di sei milioni di obesi, ovvero un 10% della popolazione, una cifra a dir poco, impressionante.
Per ció che riguarda il perché, il ricercarlo, per me, è stato determinante, ed era una sommatoria di mille motivazioni, trattandosi di una malattia multifattoriale, di origine genetica.
Con il tempo ed una adeguata ed indispensabile psicoterapia, sono emerse ed è stato più facile affrontarle.
Ma, oltre al perché, è necessario parlare del cosa: io, ad esempio, mangiavo continuamente, in modo compulsivo, ed in dosi considerevoli, il più delle volte neppure rendendomi conto di che alimenti ingurgitassi, talmente mi sentivo, ed ero, vorace.
Era come avere un gigantesco buco, che andava continuamente colmato, ma che non si riempiva mai. Un drago affamato che non era mai sazio.
E ovviamente mentivo: mentivo su cosa io davvero mangiassi, mi nutrivo di nascosto, entravo nei negozi acquistando cibo per dieci persone e mangiandomelo tutto da sola. Dopo tutto quel cibo, rimaneva spazio solo per le lacrime, e per un senso di impotenza e di dolore inenarrabili.
Ovviamente ci sono stati, in quegli anni, mille tentativi di diete, mille visite da spesso distratti dietologi, da propinatori di pasticche magiche, farmaci improponibili quanto inutili, spendendo follie, e senza mai risultati. Perché ogni dieta non durava mai più di 10 giorni, perché poi il cibo tornava a comandare, avanzava come la marea, e, io cedevo. E si ricominciava. Aggiungendo sempre chili.
Obesità e anoressia. Due facce della stessa medaglia?
Sicuramente si: manifestano entrambe con un problema di disturbo del comportamento alimentare ed entrambe con un difficilissimo rapporto di amore e odio verso il cibo,
Il primo libro che lessi su queste problematiche fu di Fabiola De Clercq, una ex anoressica “Tutto il pane del mondo”. Sicuramente la prima illuminazione, un riconoscermi in molte delle sue motivazioni e, finalmente, un aprirmi alla speranza di una guarigione.
Da sottolineare la diversa accettazione delle due patologie, da parte della società: l’anoressico, per il suo aspetto, suscita pena e desiderio di conforto. L’obeso, al contrario, suscita ribrezzo e desiderio di rimprovero e giudizio severo. Nessuno denigra in modo pesante una persona troppo magra, ma una troppo grassa è oggetto di scherno e di disapprovazione.
E uno dei nostri scopi, come associazione, è proprio quello di combattere lo stigma dell’obesità.
Non esiste un manuale per fare il genitore. Ma in questo senso hai dei consigli pratici?
Esco da una storia genitoriale estremamente complessa: mia madre era una anaffettiva, una persona disturbata psicologicamente, che riversava le sue ansie su di me.
Ho passata la prima parte della mia vita nel tentativo di piacerle e di compiacerla, mescolando sconvolgimenti di personalità ed emozioni perché la mamma mi vedesse, perché la mamma mi amasse.
E diventare enorme era il modo più immediato di farmi notare da lei. Non ne avevo coscienza allora. Una ragazzina non può capire che ingrassa per essere accompagnata da un dietologo e perché la mamma, nel metterla a dieta, le comunichi un interesse che può assomigliare ad una insana forma di amore.
Pertanto, sulla base della mia storia, ho semplicemente tentato, con mio figlio Luca, di non essere come era stata lei. Ho concesso a mio figlio un rapporto più equilibrato col cibo, basandolo su un atavico “mangi se hai fame”. E sono stata fortunata, non ha alcun problema di sovrappeso e non si rifugia nel cibo protettore.
Ma non sempre è così semplice: vedere un genitore divorare il frigo non è un bel messaggio e, purtroppo, molti figli di obesi soffrono della medesima patologia. Il consiglio è solo uno: imparare a mangiare con e per i nostri figli, imparare insieme a loro a nutrirsi in modo sensato, a svolgere un minimo di attività fisica e, soprattutto, ad esserci di più, senza oppressioni, ma con amore.
Fallimento, frustrazione, mancanza di gratificazioni, paura. Altro? Ma soprattutto come si esce da questo vortice?
Ci si avvicina al cibo per ogni emozione: gioia, dolore, ansia, paura, soddisfazione: di fondo, una persona obesa, non sa controllare alcun tipo di emozione e le veicola tutte nel solo grande contenitore che ha imparato ad utilizzare.
Le nostre storie viaggiano da sempre sui canali legati al cibo. Il cibo ha, da anni, stabilito la nostra condotta di vita: è stato conforto, culla, sfogo, dittatore, ma mai, mai in assoluto, è stato solo e semplicemente un nutrimento necessario alla sopravvivenza. Era sempre qualcosa oltre, qualcosa di non equilibrato, come un amante che fuggivi e poi ricercavi, ma sempre senza pace o gioia.
Il grande lavoro su noi stessi è ricondurre il nutrimento ad un gesto equilibrato, ad un bisogno, ed un piacere sicuramente, ma da riuscire ad arginare.
Per un normopeso una cena eccessiva è l’eccezione, accettabilissima; per un obeso è la norma.
E qui entra indubbiamente in gioco una seria psicoterapia, perché solo individuando le cause che ti spingono ad aprire il frigo, riuscirai a domarle e a controllarle. E non è per mancanza di forza di volontà, come troppo sovente ci dicono, ma è perché noi abbiamo un reale e serio disturbo, non riconducibile ad un banale ed offensivo “basta chiudersi la bocca”.
Nel tuo forum con oltre 22.000 iscritti, quali sono gli argomenti o le domande più frequenti che ti pongono?
Sono moltissime le domande ricorrenti, ma, di base, la domanda è una sola: esiste una cura? Posso perdere peso?
E io posso solo dire di si, che esiste. Perché l’obesità è una malattia, ma una malattia curabile. E la persona obesa ha bisogno di sentirselo dire, ma soprattutto, si sentirlo forte dentro se stessa.
Finché non giungi alla tua consapevolezza personale di essere malato, e, pertanto,!di non poter essere colpevole di una malattia, non arriverai mai a volerti seriamente curare.
E ci sono moltissimi seri centri multidisciplinari per la cura dell’obesità, che, valutando tutti i percorsi in gioco (dietetica, psicologia, chirurgia bariatrica e post-bariatrica) e ponendo il paziente al centro, sono determinanti per un giusto cammino verso una riacquistabile salute.
Si sente spesso parlare di chirurgia bariatrica e post bariatrica: vogliamo fare un quadro delle possibilità e dei limiti di queste chirurgie?
Parto dal mio caso personale: vengo a scoprire, attraverso Amici Obesi, una possibilità di cura, che mai avevo preso in considerazione: la chirurgia bariatrica, ovvero la chirurgia dell’obesità.
Sul subito la reazione é stata: “manco morta mi faccio tagliuzzare lo stomaco”. Poi leggo, leggo, mi informo e ascolto. E comincio a vederla come una reale possibilità.
Sono perfettamente cosciente del fatto che l’intervento mi aiuterà, ma anche del fatto che io dovrò aiutarlo. E il segreto, spesso, é solo li. Non ci si deve aspettare la classica bacchetta magica, si deve cambiare la testa obesa: e quello é un lavoro pazzesco, ma é il solo modo per svoltare.
Sono interventi che, in corpi spesso trascurati come i nostri, devono essere eseguiti e seguiti con attenzione ed esiste, come per ogni chirurgia, un rischio operatorio. Ma, in moltissimi casi, è spesso il solo modo per salvarci la vita; non è l’ultima spiaggia, non é un comodo atterraggio o una banale scorciatoia: è riprendersi la propria vita, correre il rischio di stare meglio.
I chili ti abbandonano, ti riappropri della tua vita, indossi vestiti colorati, cammini sveltamente, insegui tuo figlio in bicicletta, sali e scendi dall’auto senza incastrarti nel volante e migliaia di altre piccole conquiste di cui ti stupisci ogni giorno.
E poi, quando pensi di aver fatto pace con te stessa, quando specchiarti nelle vetrine ti regala un sorriso, ti accorgi che il tuo corpo, un tempo boteriano, sta lasciando il posto ad un esubero di pelle che ti rende simile ad un cane di razza sharpei, con pelle che abbonda su un fisico che, ormai, la vive solo come un esubero.
Sei comunque guarito, ma ti senti guarito a metà. I tuoi due corpi in uno solo, hanno comunque lasciato spazio ad un unico involucro che non ti appartiene, come un abito troppo largo.
E la risorsa qual è? O meglio qual è la cura, perché ancora di malattia stiamo parlando, ovvero delle conseguenze legate all’obesità che ti ha fatto compagnia fino a non molto tempo fa?
Il solo grande aiuto, l’attenzione e il riguardo per te stesso ti possono arrivare dalla chirurgia plastica ricostruttiva, dove nella parola “ricostruttiva” é insito il rinnovo, il ricreare un elemento che ora ti è estraneo: il tuo corpo. Non è solo una questione estetica, anche se, sicuramente e giustamente, il fattore estetico ha una sua rilevanza non indifferente e sacrosanta, ma è la corretta chiusura del cerchio, il completamento di un’opera, la cura, nel senso più completo. Finalmente si diventa padroni di un peso e di un corpo ragionevoli, indossando un po’ di cicatrici, che non sono simbolo di una sconfitta, o peggio ancora, di una esagerata dimostrazione di successo. La cicatrice è il segno indelebile di cosa siamo stati, ma non è la lettera scarlatta che ci identificherà come obesi per tutta la vita.
In Giappone, quando un oggetto di valore si rompe, lo si ripara con oro liquido. È un’antica tecnica, chiamata Kintsugi, che valorizza e non nasconde le crepe. Le esibisce come un pregio: cicatrici d’oro, segno orgoglioso di ritorno alla vita.
Anche per le persone obese è così. Chi ha una storia di sofferenza è prezioso, la fragilità può trasformarsi in forza. La tecnica che salda i pezzi, negli esseri umani si chiama amore, determinazione, consapevolezza, crescita.
Perché ora non abbiamo più timore di mostrarci al mondo con la certezza di aver fatto un grande, grandissimo lavoro su noi stessi: ci siamo salvati la vita, ora non ci resta che viverla.
In questo momento stai affrontando una battaglia contro il cancro, quello che tu chiami Linfy. Se vuoi, parliamone e trasmetti la grande energia che possiedi.
Quando pensi che il peggio sia passato e ti senti al sicuro nei tuoi “successi” personali, il destino ti rimette alla prova.
A febbraio la scoperta di un linfoma di tipo B, una forma tumorale molto aggressiva, ma, grazie alle cure sempre più mirate, fortunatamente curabile.
Quasi un mese e mezzo di ospedale, lontana da casa, cicli di chemioterapie, forze ai minimi termini e tutti gli effetti collaterali possibili, in balie delle mille paure che la parola “tumore” suscita, non hai che due alternative: reagire o lasciare che le paure abbiano la meglio. E io ho scelto la prima. Per me stessa, per chi mi ama e perché le sfide fanno parte della vita.
Per esorcizzare i timori, ancora una volta, ho scelto di spezzare il silenzio, di raccontare sulle pagine social, la mia lotta di ogni giorno, le mie conquiste e le mie cadute.
E ancora una volta la malattia mi ha stupita: mi ha messa alla prova, ma mi ha dato tanto. In prima linea mi ha mostrato amici, conosciuti e sconosciuti, che mi hanno avvolta come in un bozzolo, coccolata e incoraggiata ad ogni metro. Ho trovato medici e infermieri splendidi, un ospedale da Oscar e ho ritrovato una fede e una fiducia in Dio che credevo sopite e disperse.
Senza tutto questo, oggi non sarei qui. Sono stata fortunata, Linfy si sta ritirando, è in regressione totale; non ho ancora vinto la guerra, ma lui sta facendo i bagagli.
Non ci sono formule magiche, nemmeno qui: la sola grande spinta è sentire che la vita è fondamentalmente bella. E da lì si inizia a camminare.
Fonte: Quotidiano dei contribuenti